martedì 18 dicembre 2007

In onore alla mia terra...

U iuncu

I vrazza friddi

E l’occi aperti

Ni sta timpesta.

U suli è ammucciatu

Scantatu!

I trona u ficiru scappari.

E ia sugnu ccà.

Sulu.

Tuttu vagnatu.

Tisu tisu comu na pala baccalà.

Però un mi scantu.

Vaiu scappannu di ccà e di ddrà

L’ arvula mi vonu cadiri ‘ntesta

Si ni venunu ccù tutta a radica.

U ventu mi straporta

Ioca e s’arricria

U cielu niuru e fitusu comu a pici

M’allorda u cori

U fangu ‘mpiccicusu mi tena i pedi

E ia mi iettu

Na vota annavanti

Na vota annarreri

Pirchì ava finiri

A rota ava girari

E penzu a mò matri

“Caliti iuncu

Ca passa la china”.

Traduco solo gli ultimi 2 versi:
"Abbassati giunco che passa la piena"...
E' un proverbio popolare licatese e un po' l'atteggiamento del siciliano in genere...
A voi.

domenica 9 dicembre 2007

Storia di Salvatore Siciliano detto Sasa'.

Buongiorno Sasà. Sempre al lavoro tu. Ma non ti fermi mai? Non ti riposi? Non ti svaghi?”.

Mai Mimì. Il lavoro è ricchezza e onora l’uomo. Tu, invece, sempre piedi piedi vero?”.

Salvatore Siciliano, detto Sasà, era nato in un tempo imprecisato e in un luogo indefinito della Sicilia e lì viveva e lavorava da sempre, con fede onesta e attaccamento sincero verso quella terra madre e matrigna, generosa e crudele.

Ne aveva visti passare tanti da quella sua terra. Greci, romani, bizantini, arabi, normanni, svevi. Qualcuno aveva dato, qualcuno aveva solo preso.

E in tanti secoli Sasà aveva sviluppato un suo personalissimo modo di captare la presenza di un nuovo occupante.

Ne fiutava l’odore.

Quella mattina, dopo che Mimì se ne fu andato, Sasà annusò l’aria e vi sentì qualcosa di strano, di indefinito, di sdegnoso.

“Hmm, puzza sento!” esclamò d’un tratto.

E infatti, giratosi, si trovò davanti un francese alto alto e armato fino ai denti, con l’occhio destro e anche quello sinistro tutt’altro che amichevoli.

“Sono un Angioino!” gli disse “E vengo a dirvi che da oggi in poi qua comando io e le tasse le dovete pagare a me. Sta bene?”.

“Ho alternative?” chiese speranzoso Sasà.

“Assolutamente no!” rispose perentorio l’invasore.

“E allora sta bene” fece Sasà con un’alzatuccia di spalle.

“Au revoir!”.

“Vossa benedica”.

Passarono gli anni, i mesi, i giorni e le ore, e Sasà continuò a lavorare come sempre sulla sua terra. Fnché un giorno, ri- annusata l’aria…

“ Arrè puzza sento!”ri-esclamò.

Difatti, giratosi, si trovò davanti uno spagnolo tozzo tozzo e tarchiato. Anche questo armato fino ai denti e coi baffetti aggrovigliati e minacciosi.

Parlò assai poco, se non per comunicare che da quel momento comandava lui e che, quindi, i balzelli dovevano essere versati a lui stesso medesimo.

“Sta bene” disse Sasà rassegnato “E vi tratterrete molto?”.

“ Il più a lungo possibile” rispose l’iberico.

E se ne andò.

Passarono gli anni, i mesi, i giorni e le ore. Passò la peste, la carestia, e passarono i turchi.

Finché un giorno, annusata l’aria…

“Arrè puzza c’è! E questa sì che è puzza!”.

“Sono un Borbone!” disse il neo arrivato.“E vengo a comunicarvi che qui da ora in poi comando io e che le tasse le dovete pagare a me e ai miei baroni”.

“Ora vedete”pensò Sasà abituato. “E vi tratterrete assai?” gli chiese.

“Abbastanza!” fu l’ovvia risposta.

Ripassarono gli anni. Ripassarono i turchi. Ci fu un terremoto, qualche scaramuccia, il colera. E passarono i garibaldini.

Di tutte queste cose a tenere informato Sasà era Mimì, che correva dall’amico ogni qualvolta gli pareva ci fosse qualche avvenimento di una certa importanza storica.

Finché un giorno Mimì gli si presentò davanti fresco, baldanzoso e raggiante.

“Che bella giornata!”esclamò.

“Gente allegra, Dio l’aiuta”sospirò Sasà. “Che ci fu?”.

“Una cosa bella assai, Sasà. Hanno fatto l’Italia Unita!”.

“E che vuol dire? Chi comanda adesso?”.

“Adesso comanda il Re d’Italia”.

Ccà co si susa prima, cumanna”.*

“E chi comanda fa legge, Sasà. Ma non ti preoccupare, vedrai che da questo momento in poi le cose per noi miglioreranno. Intanto, però, dobbiamo partire”.

“E perché?”.

“Coscrizione obbligatoria!”.

“Obbligatoria?”

“Obbligatoria, Sasà”.

E così Sasà partì e tornò.

Passò qualche altro anno, e una mattina Mimì gli si presentò di nuovo, ma stavolta scuro scuro e funereo.

“Che c’è Mimì? E’ morto qualcheduno?”.

“C’è che siamo diventati importanti, Sasà. Troppo importanti. Ci studiano!”.

“ E chi è che ci studia?”.

“Quelli che governano, Sasà. Sono preoccupati per noi. Che brava gente! Ci chiamano ‘Questione Meridionale’. Dicono che siamo un po’ indietro, che qui c’è il sottosviluppo, ma che dobbiamo pazientare e stare tranquilli, chè ci penseranno loro a noi”.

“E io tranquillo sono, Mimì”.

“E io no, Sasà! Perché qua i suonatori cambiano, ma la musica è sempre la stessa”.

E così passarono di nuovo gli anni, i mesi e le ore.

Scoppiò la Prima guerra mondiale, e Sasà, senza sapere il perché e il percome, partì e tornò.

Poi scoppiò anche la Seconda guerra mondiale, e Sasà, sempre senza sapere il perché e il percome, ripartì e ritornò. Ma proprio mentre rimetteva mano alla zappa e all’aratro, e stavolta senza aver sentito alcuna puzza, si trovò davanti uno tutto stelle e strisce, che avrebbe anche messo allegria se non fosse stato che pure questo era armato fino ai denti.

“Non lo dite” disse Sasà preparato.“So già tutto. Adesso qua comandate voi e vi dobbiamo pagare le tasse”.

“Ma nooo!” rispose l’extracontinentale. “Noi siamo venuti a liberarvi, ok? Siamo vostri amici, ok? Però voi dovrete essercene grati per sempre. Ok?”

“Occhei! Noi sempre gratissimi saremo”.

Passò qualche tempo e un giorno ricomparve Mimì, di nuovo raggiante in viso come quella volta dell’Italia unita.

*“In questo paese comanda chi si alza per primo”, proverbio siciliano.

“E’ successa una cosa bella assai, Sasà. Hanno cacciato il Re e hanno fatto la Repubblica democratica!”.

“E che vuol dire? Chi comanda adesso?”

“Ma nessuno, Sasà! Adesso comandiamo noi!”.

“Nzù, Mimì. Non mi piace”.

“E perché?”.

“Non ci siamo abituati”.

“Che vuoi dire, Sasà?”.

“Che noi continueremo a seminare la lattuga e gli altri si mangeranno l’insalata”.

Di nuovo gli anni si susseguirono e furono tutti uguali, di dura fatica e di duro lavoro. Solo che ogni tanto Mimì veniva a prenderlo col vestito della festa.

“Dobbiamo andare a votare, Sasà”.

“E per chi dobbiamo votare?”.

“Non preoccuparti Sasà, ce lo dicono loro”.

Poi un giorno Sasà, mentre come al solito era curvo sulla sua terra e la benediva col sudore della sua fronte, si sollevò di scatto.

“E che? Arrè puzza? Hmm, solo che questa non è puzza come le puzze di prima. Questa pare più una puzza… profumata, ‘ngannevole’”.

“Le auguro una felice giornata, signor Sasà”.

Sasà rimase un attimo confuso. Squadrò lo straniero dalla testa ai piedi.

“Questo è strano assai”pensò. “Intanto perché non è armato,ma vestito come uno di quelli del cinematografo. E poi c’ha quella valigetta in mano che chissà che ci tiene. Forse le mutande”.

Ma ciò che spaventò davvero Sasà fu il sorriso da ebete che quello portava stampato in faccia, e la vocetta melliflua che gli sembrò più pericolosa di una spada.

“Vengo dalle felici e ricche terre del Nord e sono venuto a dirle…”.

“…Che da oggi in poi qui comanda lei eccetera eccetera. Sta bene. Non ci sono problemi”.

“Ma nooo! Ma che dice! Ma basta con questa mentalità servile! E’ ora che voi del Sud vi emancipiate, progrediate, vi affranchiate. Io vengo a farle una proposta che finalmente cambierà la sua misera vita”.

“E quale sarebbe questa proposta che finalmente cambierà la mia misera vita?”.

“Lasci tutto, signor Sasà. Abbandoni questa terra crudele e avara e venga su a lavorare da noi. La piazzo in una delle mie belle fabbrichette a metter capocchie sugli spilli. E poi la alloggio in un bel condominio di dieci piani, in mezzo ad altri trenta condomini di dieci piani, in un quartiere di trecento condomini e…”.

“Vossia parla troppo”interruppe Sasà. “Le si secca la lingua”.

“Ma insomma, signor Sasà! Ma lo vuole capire che qui ormai non c’è futuro per lei? Perfino il suo amico Mimì ha colto subito l’occasione ed è emigrato. Venga su con me. Lì da noi c’è la civiltà, la tecnologia, il progresso”.

Sasà ci pensò su un attimo, poi piantò la zappa in mezzo alla terra, assunse un’espressione feroce e fece una cosa che non aveva fatto mai. Sasà Siciliano perse la sua millenaria pazienza e si ribellò al barbaro invasore.

“Ne ho visti tanti di fitùsi” gli disse. “Ma voi siete quello che puzza più di tutti, il più tradimentoso. E volete sapere il perché? Perché avete il miele in bocca e il diavolo nel culo. Perché volete strapparmi dalla mia terra, ma a me non mi impressionate coi vostri spilli, la vostra civiltà e il vostro progresso. Pi co vò ttravagliari, a mèrica è unni è ggè!”.*

“Come scusi?”

“Ma quale scusi e scusi. Se ne vada! Io da qui non mi muovo! Sono nato siciliano e voglio morire siciliano!”.

E questo fece Sasà. Quando vide che stava rimanendo solo perché tutti i suoi figli partivano da quella terra cruda, preferì morire. E morì proprio là, tra le zolle indurite dal caldo e dalla siccità, sotto il sole spietato e cinico, ma col sorriso sereno e fiero sulle labbra.

Perché Sasà aveva vinto. Era nato siciliano ed era morto siciliano.



* “Per chi ha voglia di lavorare l’America è ovunque”,proverbio siciliano

Un altro lavoro dell'amica licatese Angela Mancuso...

martedì 4 dicembre 2007

Al Semaforo, Verde!

E quando, finalmente,

Entra in gioco la coppia

Che mi strappa le braccia,

Mi si stampa, stupido,

Un sorriso sul volto!

E scordo tutto,

Il mio nome, il suo viso...

Finalmente posso volare!

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Listening to: The Beatles - Free As A Bird
via FoxyTunes