martedì 25 marzo 2008

La Rondine

Il sole nuovo,

Tra rose appassite,

da primavera!

----------------
Now playing: Luciano Ligabue - Ligabue - Giro D'Italia Cd2 - 03 - Una Vita Da Mediano
via FoxyTunes

venerdì 14 marzo 2008

Questi sono gli Abbot Ritorba...

UN AVIATORE ABILE

I fili dell'alta tensione contro l'alba livida
Io confido nei miei buoni presagi
La scia dell'aereo a reazione sembra sporcare l'alba livida
Con graffi e sfregi fiammanti
Io plano sopra l'inquietudine
Mi vedi?
Un aviatore abile
Sa come proiettarsi oltre solitudine
Forse ad un mondo da qui
Avrò gioia in proporzione alla pena
Pavido cuore distratto da chi
Vorrebbe sottrarmi ...
Avrò stelle a cui volgermi
Quando
Quando uscirò dalla scena
Rancido cuore distrutto da chi
Vorrebbe solo prendersi, vorrebbe solo fottermi ...
Scappo da quest'invidia minima
Cerco la rotta per sfuggire ai retaggi
All'inferno quest'invidia minima
E i falsi miraggi
Io oltrepasso moltitudine
Mi vedi?
Qui nell'atmosfera libera
Ogni rimpianto è muto
Forse in un mondo così
Avrò compagni a guardarmi la schiena
Nè false lusinghe nè il gesto di chi vuole annientarmi
Avrò braccia a sorreggermi ...
Quando
Quando cadrò nell'arena
Rancido cuore ditrutto da chi
Vorrebbe solo prendersi, vorrebbe solo rubarmi ...
La mia eterea immobilità

Nuova canzone di Genio&Friends... Poesia su musica...

domenica 9 marzo 2008

Sagacia sicula...

Amici per tutti noi il nuovo racconto di Angela, che tra l'altro ha vinto un signor concorso con "La storia di Salvatore Siciliano", che trovate qui:

La Squadra dei Sogni: Storia di Salvatore Siciliano detto Sasa'.

... godiamocelo...

DEI PROMESSI SPOSI

ovvero “come ti uccido il professore di italiano”

Gli alunni della VA del Liceo Classico “V.Monti” di Petrusa erano davvero preoccupati. Quell’anno era stato assegnato alla loro classe, come docente di italiano e storia, il vecchio professore Pietro Putrone detto “IL Generale”. Già di per sé i suoni chiusi, aspri e duri del suo nome anagrafico erano tutto un programma, ma il soprannome la diceva davvero lunga sull’indole austèra, rigida e militaresca di quel famigerato uomo di lettere.

La preside Luisa Sensini, dal canto suo, lo adorava di un’adorazione mistica e soprannaturale, al punto da averlo nominato vice preside a tempo indeterminato, riuscendo, in tal modo, a bilanciare una dirigenza che altrimenti sarebbe stata troppo rosea e delicata.

I suoi colleghi, invece, si erano divisi in due correnti di pensiero. Da un lato c’erano quelli che sostenevano essere egli solo un perfido, borioso, spocchioso, presuntuoso, “ma chi si crede di essere ci tratta tutti come se fossimo inferiori sarebbe ora che andasse in pensione. Dall’altro lato la maggior parte decantava la sua sconfinata cultura, il rigore professionale, l’efficacia dei suoi metodi tradizionali, l’attaccamento stakanovistico al lavoro.

Su quest’ultimo punto avevano ragione. Il professore Putrone non si assentava mai (anche perché aveva una salute di ferro) e odiava le vacanze natalizie, le vacanze pasquali, le feste patronali, il primo maggio, le vacanze estive e qualunque giorno che sul calendario fosse di colore rosso. L’unica solennità che la sua mente obliqua approvasse era quella del due giugno, festa della Repubblica, allorquando assisteva davanti al televisore alla parata militare che si svolgeva a Roma. E c’era chi fosse pronto a giurare che due lagrimucce gli comparissero furtive al passaggio della fanfara dei bersaglieri. Per il resto Putrone da oltre quarant’anni arrivava a scuola alle sette e trenta precise, proprio mentre i bidelli aprivano i cancelli, e alle sette e trentacinque era già in aula col registro di classe aperto e una decina di libri disposti in bell’ordine sulla cattedra.

E sì, perché Putrone mica usava solo i libri di testo. E no! Lui integrava, arricchiva, aggiungeva, completava. E i ragazzi avevano un bel da fare a prendere appunti, perché poi, durante l’interrogazione, guai a saltare una virgola.

I genitori facevano a gara per inserire i loro figliuoli nelle classi di Putrone, nella scellerata convinzione che questo avrebbe costituito per loro una irripetibile occasione educativa e formativa.

E dunque anche quell’anno Putrone si apprestava a seminare terrore e distruzione, e la sua indole sterminatrice si metteva all’opera soprattutto al ginnasio, perché “è al biennio che occorre operare una rigorosa selezione chi non si mostra degno di frequentare il nostro glorioso liceo è meglio che cambi indirizzo di studi”. Putrone, però, aveva attribuito un’accezione personalistica all’aggettivo “degno”. Chissà perché “degni” erano quasi sempre i rampolli di determinate categorie sociali.

Il ventitre settembre Putrone entrò in VA armato delle peggiori intenzioni, e per le due ore che vi rimase non fece che minacciare, intimidire, profetizzare, ammonire, vituperare. Il Generale, però, non aveva fatto bene i suoi conti, perché la VA aveva un grosso difetto, una di quelle storture che professori come lui non tolleravano e non sapevano come affrontare. I ragazzi di quella classe avevano maturato l’insana abitudine di pensare con la propria testa, di intervenire, di partecipare, di chiedere sempre il perché e il percome. Insomma, erano perfettamente in grado non solo di saltare qualche virgola, ma di aggiungerne a loro discrezione.

La patologia creativa di quegli alunni intellettualmente indisciplinati si manifestò soprattutto quando iniziarono ad essere sottoposti alla rigida terapia invasiva della lettura integrale dei Promessi Sposi.

Ora, bisogna sapere che per Putrone la letteratura italiana cominciava e finiva con i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, “punto di riferimento letterario di valore universale, colonna portante e fondamento della nostra insigne tradizione culturale”.

Per essi nutriva una devozione religiosa, un rispetto filiale, una dedizione assoluta. La collocazione scolastica e l’insegnamento sistematico di tale capolavoro era stato, era, e sarebbe sempre stato indiscusso e indiscutibile.

Putrone ricordava ancora con raccapriccio l’animato collegio dei docenti dell’anno precedente, allorquando una giovane supplente temeraria e alternativa aveva proposto l’adozione di un testo antologico dei Promessi Sposi, “perché tanto non si riesce a leggerli tutti, e poi magari si potrebbe affiancargli la lettura di autori contemporanei, che so, Svevo Calvino Moravia”. Non era riuscita a completare l’intervento perché Putrone diventando prima paonazzo, poi violaceo indi bluette, aveva catalizzato l’attenzione di tutti, che, nel trambusto dei soccorsi, dimenticarono di mettere la questione ai voti. La qual questione venne subito accantonata e definitivamente dimenticata una volta terminata la supplenza della sovversiva.

Gli studenti della VA per tutto l’anno scolastico ebbero un bel da fare a leggere, riassumere, commentare, riverire, vivisezionare capitoli su capitoli. E se a volte sui pudori virginei di Lucia alle più disinibite fanciulle contemporanee scappava un sorriso, o durante le lunghe digressioni sulla peste scattavano inesorabili gli sbadigli, e allora erano invettive, anatemi, note disciplinari, accompagnamenti, punizioni che rasentavano il corporale.

Fu così che in un’accesa e creativa assemblea di classe di fine anno gli alunni maturarono un sacrilego progetto: mandare al rogo Putrone e i suoi Promessi Sposi.

E questo fecero.

Organizzarono tutto fin nei minimi dettagli. Quello stesso sabato, alle undici di sera, avrebbero condotto il Generale, precedentemente rapito, sulla spiaggia ancora deserta della Plaia, e lì avrebbero innalzato una pira dove lui e i Promessi Sposi sarebbero stati arsi vivi.

Dovettero, però, anticipare l’orario in quanto una delle loro madri aveva detto che se volevano rapire il professore e bruciarlo dovevano farlo entro le nove perché poi avevano parenti a cena.

E così fu tutto allestito entro le otto.

La sabbia, a fine maggio, era ancora fresca e la serata si presentava frizzante e generosa.

Disposta la legna a piramide come per i falò di ferragosto i ragazzi vi sistemarono sopra Putrone legato e imbavagliato, con il suo volume dei Promessi Sposi infilato dentro la cintura dei pantaloni.

Per carità! Non era certo il vero Putrone. E che diamine! Erano pur sempre dei bravi ragazzi! Il loro era un manichino tale e quale, una stampa e una figura, stessa altezza, stessi vestiti, stessi occhiali, stessa perfida espressione negli occhi. Di autentico c’era, invece, il volume manzoniano. Quello era proprio il suo, quello che possedeva da cinquanta anni, abilmente sottrattogli in sale dei professori, dove lo aveva incautamente lasciato dopo che, bevuto un caffè amorevolmente portatogli dal rappresentante di classe, per cause sconosciute era dovuto scappare in bagno.

Il loro fu, più che altro, un atto simbolico, catartico, liberatorio, goliardico.

E fu con goliardia che diedero fuoco alla pira e rimasero ad ascoltare lo scoppiettio delle fiamme, il crepitio della legna, lo sfrigolio delle pagine riarse, e ad ammirare il luccichio sfavillante delle lingue di fuoco che raggiungevano l’azzurro tardo di quella sera pre-estiva.

Sennonché accadde che una lieve brezza vespertina facesse volare alcune pagine del volume ai piedi degli improvvisati piromani. I quali, dopo averle raccolte, cominciarono, così, per scherzo, a leggerle. E che strano dovette sembrare loro ascoltare quelle parole con l’intonazione delle loro voci. E che bello quell’addio ai monti recitato dalla voce soave e malinconica di Marta, che faceva teatro e in queste cose era davvero brava. E quell’incontro tra i bravi e don Abbondio improvvisato gioiosamente sulla sabbia? Per non dire di Veronica, ottanta chili di simpatia, che, con le mani ai fianchi e il suo vocione sicuro e robusto, stava dando vita ad una straordinaria Perpetua.

Insomma, nel giro di pochi minuti quelle pagine che Putrone aveva tanto fatto odiare appesantendole per giunta con gli osceni giudizi di questo o quel critico letterario, si erano salvate dalle fiamme per prendere vita tra le mani di quei giovani, per risuonare nelle loro voci allegre e spensierate come una sinfonia corale, arricchite del loro spirito creativo, onorate dalla loro leggerezza, mentre poco più distante gli occhi grigi del generale fantoccio guardarono mestamente prima che gli ultimi sprazzi del fuoco li avvolgessero.

sabato 8 marzo 2008

Per ritornare come si deve...

Città

Maschere a contorni netti

Recitano

Nel teatro della strada

Personaggi in città

Dove un posto è oro

In società

Sangue.



Recitavo nel titolo...Per ritornare come si deve è d'obbligo una poesia... Spero vi piaccia, spero riesca a colpirvi, spero che si lasci penetrare a fondo dal vostro sentire, spero sia malleabile, duttile sotto i colpi della vostra sensibilità pungente...

Sempre con immenso affetto e stima il vostro Gino, salumiere pseudo-poeta.

mercoledì 5 marzo 2008

Si dicia si...

Ma davvero pensavate che non sarei più tornato?
Sbagliato!
Sono di nuovo qui!