martedì 18 dicembre 2007

In onore alla mia terra...

U iuncu

I vrazza friddi

E l’occi aperti

Ni sta timpesta.

U suli è ammucciatu

Scantatu!

I trona u ficiru scappari.

E ia sugnu ccà.

Sulu.

Tuttu vagnatu.

Tisu tisu comu na pala baccalà.

Però un mi scantu.

Vaiu scappannu di ccà e di ddrà

L’ arvula mi vonu cadiri ‘ntesta

Si ni venunu ccù tutta a radica.

U ventu mi straporta

Ioca e s’arricria

U cielu niuru e fitusu comu a pici

M’allorda u cori

U fangu ‘mpiccicusu mi tena i pedi

E ia mi iettu

Na vota annavanti

Na vota annarreri

Pirchì ava finiri

A rota ava girari

E penzu a mò matri

“Caliti iuncu

Ca passa la china”.

Traduco solo gli ultimi 2 versi:
"Abbassati giunco che passa la piena"...
E' un proverbio popolare licatese e un po' l'atteggiamento del siciliano in genere...
A voi.

domenica 9 dicembre 2007

Storia di Salvatore Siciliano detto Sasa'.

Buongiorno Sasà. Sempre al lavoro tu. Ma non ti fermi mai? Non ti riposi? Non ti svaghi?”.

Mai Mimì. Il lavoro è ricchezza e onora l’uomo. Tu, invece, sempre piedi piedi vero?”.

Salvatore Siciliano, detto Sasà, era nato in un tempo imprecisato e in un luogo indefinito della Sicilia e lì viveva e lavorava da sempre, con fede onesta e attaccamento sincero verso quella terra madre e matrigna, generosa e crudele.

Ne aveva visti passare tanti da quella sua terra. Greci, romani, bizantini, arabi, normanni, svevi. Qualcuno aveva dato, qualcuno aveva solo preso.

E in tanti secoli Sasà aveva sviluppato un suo personalissimo modo di captare la presenza di un nuovo occupante.

Ne fiutava l’odore.

Quella mattina, dopo che Mimì se ne fu andato, Sasà annusò l’aria e vi sentì qualcosa di strano, di indefinito, di sdegnoso.

“Hmm, puzza sento!” esclamò d’un tratto.

E infatti, giratosi, si trovò davanti un francese alto alto e armato fino ai denti, con l’occhio destro e anche quello sinistro tutt’altro che amichevoli.

“Sono un Angioino!” gli disse “E vengo a dirvi che da oggi in poi qua comando io e le tasse le dovete pagare a me. Sta bene?”.

“Ho alternative?” chiese speranzoso Sasà.

“Assolutamente no!” rispose perentorio l’invasore.

“E allora sta bene” fece Sasà con un’alzatuccia di spalle.

“Au revoir!”.

“Vossa benedica”.

Passarono gli anni, i mesi, i giorni e le ore, e Sasà continuò a lavorare come sempre sulla sua terra. Fnché un giorno, ri- annusata l’aria…

“ Arrè puzza sento!”ri-esclamò.

Difatti, giratosi, si trovò davanti uno spagnolo tozzo tozzo e tarchiato. Anche questo armato fino ai denti e coi baffetti aggrovigliati e minacciosi.

Parlò assai poco, se non per comunicare che da quel momento comandava lui e che, quindi, i balzelli dovevano essere versati a lui stesso medesimo.

“Sta bene” disse Sasà rassegnato “E vi tratterrete molto?”.

“ Il più a lungo possibile” rispose l’iberico.

E se ne andò.

Passarono gli anni, i mesi, i giorni e le ore. Passò la peste, la carestia, e passarono i turchi.

Finché un giorno, annusata l’aria…

“Arrè puzza c’è! E questa sì che è puzza!”.

“Sono un Borbone!” disse il neo arrivato.“E vengo a comunicarvi che qui da ora in poi comando io e che le tasse le dovete pagare a me e ai miei baroni”.

“Ora vedete”pensò Sasà abituato. “E vi tratterrete assai?” gli chiese.

“Abbastanza!” fu l’ovvia risposta.

Ripassarono gli anni. Ripassarono i turchi. Ci fu un terremoto, qualche scaramuccia, il colera. E passarono i garibaldini.

Di tutte queste cose a tenere informato Sasà era Mimì, che correva dall’amico ogni qualvolta gli pareva ci fosse qualche avvenimento di una certa importanza storica.

Finché un giorno Mimì gli si presentò davanti fresco, baldanzoso e raggiante.

“Che bella giornata!”esclamò.

“Gente allegra, Dio l’aiuta”sospirò Sasà. “Che ci fu?”.

“Una cosa bella assai, Sasà. Hanno fatto l’Italia Unita!”.

“E che vuol dire? Chi comanda adesso?”.

“Adesso comanda il Re d’Italia”.

Ccà co si susa prima, cumanna”.*

“E chi comanda fa legge, Sasà. Ma non ti preoccupare, vedrai che da questo momento in poi le cose per noi miglioreranno. Intanto, però, dobbiamo partire”.

“E perché?”.

“Coscrizione obbligatoria!”.

“Obbligatoria?”

“Obbligatoria, Sasà”.

E così Sasà partì e tornò.

Passò qualche altro anno, e una mattina Mimì gli si presentò di nuovo, ma stavolta scuro scuro e funereo.

“Che c’è Mimì? E’ morto qualcheduno?”.

“C’è che siamo diventati importanti, Sasà. Troppo importanti. Ci studiano!”.

“ E chi è che ci studia?”.

“Quelli che governano, Sasà. Sono preoccupati per noi. Che brava gente! Ci chiamano ‘Questione Meridionale’. Dicono che siamo un po’ indietro, che qui c’è il sottosviluppo, ma che dobbiamo pazientare e stare tranquilli, chè ci penseranno loro a noi”.

“E io tranquillo sono, Mimì”.

“E io no, Sasà! Perché qua i suonatori cambiano, ma la musica è sempre la stessa”.

E così passarono di nuovo gli anni, i mesi e le ore.

Scoppiò la Prima guerra mondiale, e Sasà, senza sapere il perché e il percome, partì e tornò.

Poi scoppiò anche la Seconda guerra mondiale, e Sasà, sempre senza sapere il perché e il percome, ripartì e ritornò. Ma proprio mentre rimetteva mano alla zappa e all’aratro, e stavolta senza aver sentito alcuna puzza, si trovò davanti uno tutto stelle e strisce, che avrebbe anche messo allegria se non fosse stato che pure questo era armato fino ai denti.

“Non lo dite” disse Sasà preparato.“So già tutto. Adesso qua comandate voi e vi dobbiamo pagare le tasse”.

“Ma nooo!” rispose l’extracontinentale. “Noi siamo venuti a liberarvi, ok? Siamo vostri amici, ok? Però voi dovrete essercene grati per sempre. Ok?”

“Occhei! Noi sempre gratissimi saremo”.

Passò qualche tempo e un giorno ricomparve Mimì, di nuovo raggiante in viso come quella volta dell’Italia unita.

*“In questo paese comanda chi si alza per primo”, proverbio siciliano.

“E’ successa una cosa bella assai, Sasà. Hanno cacciato il Re e hanno fatto la Repubblica democratica!”.

“E che vuol dire? Chi comanda adesso?”

“Ma nessuno, Sasà! Adesso comandiamo noi!”.

“Nzù, Mimì. Non mi piace”.

“E perché?”.

“Non ci siamo abituati”.

“Che vuoi dire, Sasà?”.

“Che noi continueremo a seminare la lattuga e gli altri si mangeranno l’insalata”.

Di nuovo gli anni si susseguirono e furono tutti uguali, di dura fatica e di duro lavoro. Solo che ogni tanto Mimì veniva a prenderlo col vestito della festa.

“Dobbiamo andare a votare, Sasà”.

“E per chi dobbiamo votare?”.

“Non preoccuparti Sasà, ce lo dicono loro”.

Poi un giorno Sasà, mentre come al solito era curvo sulla sua terra e la benediva col sudore della sua fronte, si sollevò di scatto.

“E che? Arrè puzza? Hmm, solo che questa non è puzza come le puzze di prima. Questa pare più una puzza… profumata, ‘ngannevole’”.

“Le auguro una felice giornata, signor Sasà”.

Sasà rimase un attimo confuso. Squadrò lo straniero dalla testa ai piedi.

“Questo è strano assai”pensò. “Intanto perché non è armato,ma vestito come uno di quelli del cinematografo. E poi c’ha quella valigetta in mano che chissà che ci tiene. Forse le mutande”.

Ma ciò che spaventò davvero Sasà fu il sorriso da ebete che quello portava stampato in faccia, e la vocetta melliflua che gli sembrò più pericolosa di una spada.

“Vengo dalle felici e ricche terre del Nord e sono venuto a dirle…”.

“…Che da oggi in poi qui comanda lei eccetera eccetera. Sta bene. Non ci sono problemi”.

“Ma nooo! Ma che dice! Ma basta con questa mentalità servile! E’ ora che voi del Sud vi emancipiate, progrediate, vi affranchiate. Io vengo a farle una proposta che finalmente cambierà la sua misera vita”.

“E quale sarebbe questa proposta che finalmente cambierà la mia misera vita?”.

“Lasci tutto, signor Sasà. Abbandoni questa terra crudele e avara e venga su a lavorare da noi. La piazzo in una delle mie belle fabbrichette a metter capocchie sugli spilli. E poi la alloggio in un bel condominio di dieci piani, in mezzo ad altri trenta condomini di dieci piani, in un quartiere di trecento condomini e…”.

“Vossia parla troppo”interruppe Sasà. “Le si secca la lingua”.

“Ma insomma, signor Sasà! Ma lo vuole capire che qui ormai non c’è futuro per lei? Perfino il suo amico Mimì ha colto subito l’occasione ed è emigrato. Venga su con me. Lì da noi c’è la civiltà, la tecnologia, il progresso”.

Sasà ci pensò su un attimo, poi piantò la zappa in mezzo alla terra, assunse un’espressione feroce e fece una cosa che non aveva fatto mai. Sasà Siciliano perse la sua millenaria pazienza e si ribellò al barbaro invasore.

“Ne ho visti tanti di fitùsi” gli disse. “Ma voi siete quello che puzza più di tutti, il più tradimentoso. E volete sapere il perché? Perché avete il miele in bocca e il diavolo nel culo. Perché volete strapparmi dalla mia terra, ma a me non mi impressionate coi vostri spilli, la vostra civiltà e il vostro progresso. Pi co vò ttravagliari, a mèrica è unni è ggè!”.*

“Come scusi?”

“Ma quale scusi e scusi. Se ne vada! Io da qui non mi muovo! Sono nato siciliano e voglio morire siciliano!”.

E questo fece Sasà. Quando vide che stava rimanendo solo perché tutti i suoi figli partivano da quella terra cruda, preferì morire. E morì proprio là, tra le zolle indurite dal caldo e dalla siccità, sotto il sole spietato e cinico, ma col sorriso sereno e fiero sulle labbra.

Perché Sasà aveva vinto. Era nato siciliano ed era morto siciliano.



* “Per chi ha voglia di lavorare l’America è ovunque”,proverbio siciliano

Un altro lavoro dell'amica licatese Angela Mancuso...

martedì 4 dicembre 2007

Al Semaforo, Verde!

E quando, finalmente,

Entra in gioco la coppia

Che mi strappa le braccia,

Mi si stampa, stupido,

Un sorriso sul volto!

E scordo tutto,

Il mio nome, il suo viso...

Finalmente posso volare!

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Listening to: The Beatles - Free As A Bird
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venerdì 30 novembre 2007

Alone... in the dark?

Solo

Alzi gli occhi al cielo

Piangi

E gridi

Muto

Chiuso nel tuo dolore

Avviluppato nella disperazione.

Ti inginocchi

Per strada

Al centro della corsia

Piena

Di macchine vuote

E le tue mani

Ruvide

Abradono ancora il tuo viso

Bagnato

Sofferente

Contorto

Sofferente

Assorto

Rapito

Dalle urla della tua anima.

lunedì 26 novembre 2007

Domenica sera...

Doppio bicchiere

Atmosfera fumosa

Grasse risate!

giovedì 22 novembre 2007

Sveglia!

“Dietro quella duna, c’è il mare?”

“Certo” rispose lo scarabeo!

Alla sommità della duna gli dissi:

“Mi hai mentito!”

“Sbagli ancora piccolo uomo!

Guarda dietro di te!”

Mi girai, mi ci volle un’eternità,

Sornione alle mie spalle

S’agitava il mare...

“Scusa se ho dubitato di te!”

Ma lo scarabeo era scomparso!

Chiusi gli occhi,

Assaporai l’odore del mare,

Ma quando li riaprii mi trovai

Di nuovo in pieno deserto...

“Scarabeo di merda!

Mi hai ingannato nuovamente!”

Lui era lì riverso, a pancia in su,

Incapace di rigirarsi era morto così,

Con le sue zampe che puntavano al cielo...


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Listening to: Annie Lennox - No More I Love You's
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mercoledì 21 novembre 2007

Genio's song...

Gli ignavi e la ripicca viola

Cominciamo a definire chi è il fottuto buon padrone
e chi è il servitore tra noi
tu facevi l'angelo buono sedevi alla destra
io non ne ho mai saggiato la virtù
ma ti asciugavi con la stessa salvietta
che usò il titubante Pilato quel giorno dopo aver mandato vecchio Gesù alla forca
Volle tenere la torta per se
Dicevi:
"Il lassismo vi rende schiavi
cervelli da nani
mentre grugnite come stanchi maiali
vi fa ignavi
vi allatta la stupidità vi allatta
e i soli stimoli sono punture dei tafani e api intorno
Prendete me ho il necessaire per la montagna degli Dei"

Ma se poi scoppia il sole
Io spero ti colpiscano i detriti
E che cancellino quel tuo ghigno

Quell'espressione à la "tutti pagano un pegno ma io lo pago meglio"
Cercherò di essere breve e docile come un servo fedele oh mio
fenomeno poliedrico
Domani all'albeggiare io ti erigerò un altare
con l'effige del tuo naso da venerare
Per noi schiavi-ignavi...
E umilmente consci dei nostri mille limiti mali
Noi cervelli fuori dalla bolgia
Irsuti eremiti kak miskyn malati
Ormai è chiaro che il nostro destino è ai piedi
della montagna degli Dei

E adesso che hai il vento sotto le suole
Vaghi sbandando in cerca di obbiettivi
Io ti offrirò il mio appiglio
La mia più tenera comprensione.

Questa è una canzone scritta da Genio degli Abbot Ritorba... io la reputo un vero capolavoro... la potete ascoltare nello space del gruppo al seguente link:
MySpace.com - Abbot Ritorba - IT - Rock / Altro - www.myspace.com/abbotritorba

martedì 20 novembre 2007

Notte Romana

Uomo ramingo,

Serbatoio pieno,

Strada perfetta!



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Listening to: Tracy Chapman - All That You Have Is Your Soul
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domenica 18 novembre 2007

La Scuola Superiore che Sorgeva...

LA SCUOLA SUPERIORE CHE SORGEVA…

La scuola superiore che sorgeva nel pieno centro storico della cittadina di Alicanti era sempre stata alquanto bizzarra e atipica, e quello che successe nel corso dell’anno scolastico 1998-99, e che qualunque altra scuola avrebbe salutato come un evento provvidenziale, qui venne invece considerato una vera e propria sciagura.

Di questa scuola era insolita , innanzitutto, la denominazione. Lungi, infatti, dall’attribuirle il tradizionale e rassicurante nome di qualche dio dell’Olimpo letterario o scientifico l’avevano intitolata all’autoctono Eliodoro Mastrangelo detto u’scinziatu.

Questi aveva vissuto gran parte della sua vita relegato in una vecchia cascina di campagna dove trascorreva le giornate tentando esperimenti più o meno scientifici volti a scoprire cure o rimedi per questa o quella malattia, a confutare le leggi di questo o quello scienziato, a elaborare teoremi matematici su figure geometriche di sua invenzione. Le notti, invece, le trascorreva scrutando il cielo alla ricerca di forme di vita extraterrestri, della cui esistenza era assolutamente certo da quando un oggetto luminoso, non meglio identificato, volteggiando sul suo pollaio vi aveva smaterializzato tutti i polli ivi contenuti.

Naturalmente il paese si era diviso tra chi lo considerava un genio e chi un pazzo, mentre i bambini, che notoriamente non si occupano di dispute filosofiche, si limitavano a lanciargli addosso lucertole morte quelle rare volte in cui passava per strada. Fatto sta che dopo la sua morte, causata da una esplosione la cui natura non fu mai accertata, per qualche tempo nessuno ne parlò più. Finché un giorno, divenuto sindaco di Alicanti tale Gilberto Mastrangelo, che del suddetto era nipote, e dovendo assegnarsi un nome alla erigenda scuola superiore, il neo eletto perorò caldamente a chi di dovere la causa del defunto zio, insigne studioso e ricercatore, luminare e vate della particella atomica, lustro e vanto della, di tutto ciò, ignara cittadella.

E fu così che Alicanti ebbe il suo Istituto superiore con tanto di nome, cognome e ‘nciùria, ovvero il “Liceo scientifico Eliodoro Mastrangelo detto u scinziatu”. Il quale liceo esteticamente era quanto di più bizzarro si potesse immaginare, e stava all’ambiente circostante come un accordo di Fa diesis minore in una sonata in Do maggiore.

L’architetto che lo aveva progettato, e che casualmente si chiamava Salvatore Mastrangelo, aveva ideato una specie di edificio in stile barocco-rococò, la cui facciata esterna era un tripudio di portici, loggiati, colonne, pilastri e pilastrini, con tanto di ingresso sormontato da un frontone. Ma il colpo di genio era stato quello di realizzare al posto della canonica palestra uno squisito giardino interno con una sobria fontana sormontata da una copia in marmo rosa della Nike di Samotracia.

Il sovrintendente ai lavori pubblici, che casualmente aveva sposato la sorella dell’architetto, essendo per natura particolarmente sensibile al fascino delle arti, davvero non se la sentì di mortificare il fervore creativo del Borromini di Alicanti. E così i ragazzi avevano dovuto adattarsi a fare qualche corsetta e qualche esercizio a corpo libero tra gli ameni vialetti, mentre i più facinorosi, durante la pausa ricreativa, facevano saltare a colpi di pietre i pisellini dei numerosi putti che nella fontana facevano pipì.

Ed eccola dunque lì la scuola, bella come una caramella zuccherosa e maestosa come una opulenta matrona romana dopo un lauto convivio.

Si ergeva ed operava già da una ventina di anni e, come tutte le scuole, sopravviveva tra chiasso, disordine, manifestazioni, occupazioni, atti vandalici, professori distratti, genitori disperati, presidi latitanti. Questi ultimi, quando riuscivano a conservare un barlume di integrità fisica e mentale, facevano le valigie prima ancora che l’anno scolastico si concludesse.

Andò avanti così fino all’anno scolastico 1998-99, allorquando arrivò lui, il Preside di ferro, il terrore degli imberbi, lo sterminatore dell’alunno parassita, l’incubo del professore perdigiorno, il virus letale del bidello scansafatiche, il sogno proibito del genitore “nonsopiùcomefareconmiofiglio”.

Si presentò la mattina del primo Settembre con i suoi centoventi chili distribuiti verticalmente in un metro e ottanta, mascelle serrate, bocca sottile e contratta, occhietti volpini.

Si chiamava Filippo Dispotamo, veniva da Milano e per prima cosa proclamò che la pacchia era finita.

E così fu.

In breve tempo la scuola si trasformò in un modello di serietà ed efficienza. Disciplina, ordine e rigore spartano regnarono sovrani. Tutto veniva scrupolosamente controllato dal Preside, il quale, a dispetto delle più elementari conquiste democratiche, tutto vagliava e tutto decideva, e la sua non era l’ultima, ma l’unica parola che veniva detta.

Paradossalmente gli alunni, che pure si vedevano inflitte note disciplinari persino per aver alzato troppo il sopracciglio durante l’interrogazione di matematica, si erano presto adattati al nuovo clima dittatoriale, perché in fondo ai loro cuori di cuccioli disorientati avvertivano per istinto il bisogno di una guida austèra, e nei recessi più profondi dell’anima anelavano da sempre a una scuola che fornisse un’istruzione adeguata ai loro bisogni cognitivi ed evolutivi e al loro status naturale e giuridico di studenti.

Di contro, tutto il personale scolastico, dapprima cauto e circospetto, non essendo dotato di capacità di adattamento tali da sopravvivere a così bruschi cambiamenti climatici, era piombato nella più nera disperazione. E qualcuno, anzi , aveva preferito cambiare aria da quando Dispotamo, a seguito di anonime segnalazioni, si era appostato dietro le porte ad ascoltare le lezioni, e avendo sentito un sedicente docente di storia asserire che i Vespri siciliani fossero una nobile famiglia di Partitico, aveva preso l’insana abitudine di interrogare scrupolosamente i professori.

Fu proprio tra questi ultimi che si insinuò e maturò il seme della sovversione.

Stanchi di dover studiare, preparare le lezioni, correggere scrupolosamente i compiti in classe, verificare, annotare, verbalizzare, tenere in ordine i registri, scrutinare, aggiornarsi, arrivare puntuali in classe, e il tutto per uno stipendio da fame, decisero di costitutire una setta segreta, una specie di massoneria scolastica, al fine di sobillare, istigare, rimuovere, rovesciare, deporre e, indi, ripristinare l’ordine antequam.

Ebbero così inizio tutta una serie di ritorsioni ai danni del barbaro invasore, dalle lettere anonime contenenti le più svariate minacce, alle ruote della macchina perennemente bucate, al ritratto di Dante Alighieri che prendeva vita e levitava tra i corridoi inseguito da orde di ragazzini vocianti. E le improvvise emicranie che di punto in bianco colpivano l’oggetto dell’azione vendicativa non erano che il felice esito di una serie di riti vudù che la professoressa di storia dell’arte Marilla Frizzi aveva appreso in un suo recente viaggio ad Haiti e che, rispetto alle locali magarìe, aveva trovato più divertenti ed efficaci.

Naturalmente di tutto questo vennero incolpati gli alunni, e fu tutto un proliferare di circolari, consigli di classe straordinari, collegi dei docenti interminabili, accesi dibattiti. Tuttavia, non trovando i colpevoli, il Preside aveva dovuto arrendersi.

Non poteva certo sospettare che in sua assenza il vicepreside spalmasse di colla vinilica i manici della sua ventiquattrore, o che i professore alterassero le date dei ricevimenti per cui sciami di genitore inferociti si presentavano in presidenza perché il pomeriggio prima avevano trovato la scuola chiusa.

E così ebbe fine la breve e gloriosa dittatura scolastica del Preside Filippo Dispotamo, il quale, in preda ad una crisi di nervi dopo che qualcuno aveva scoordinato le sue coordinate bancarie e lo stipendio era finito a chissà chi, aveva fatto i bagagli ed era andato via senza salutare.

La nuova Preside, la signora Lella Santa, un metro e quaranta di bontà pasticcera, venne accolta da un generale sospiro di sollievo, premurosamente collocata in Presidenza, amorevolmente vezzeggiata e coccolata. Perché fu subito chiaro a tutti che il suo amabile sorriso avrebbe riportato ordine , pace e serenità.

E così gli studenti ricominciarono a far chiasso, i docenti a chiacchierare e a fumare, i bidelli a vagabondare per i corridoi.

Ripristinato lo status quo tornarono tutti felici e contenti e ogni apparve perfetta, se non fosse stato per un piccolo e insignificante particolare. Degli ultimi sviluppi tutti dimenticarono di avvisare la svampita professoressa Marilla Frizzi, la quale continuò fino alla fine dei suoi giorni e anche oltre, a conficcare allegri spilloni su un fantoccio che era in tutto e per tutto identico, uguale, preciso, spiccicato al povero, infelice, sfortunato, miserrimo preside Filippo Dispotamo.


Questo racconto è stato scritto da Angela Mancuso da Licata, dunque mia concittadina, che saluto e che invito ad essere una assidua sostenitrice della nostra Squadra.
Complimenti Angela, davvero un bel lavoro!

sabato 17 novembre 2007

Dù-dùm


Ore su ore

Si accumulano vivendo

Ore su ore

Tic & tac

La vita si trascina

Tac & tic

La vita è fuori di qua

Ma un altro rumore si sente

Strano e indistinto fa capolino

Du-dum

Du-dum

DU-DUUUM

DUUU-DUUUUUM

E finisce così che è l’unica cosa che senti ormai

E le ore non si accumulano più…

Dù-dùm.

giovedì 15 novembre 2007

Da Grande Volevo Essere un Haiku

Orologi senza lancette,

Latte scaduto,

La porta accostata...



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Listening to: Elliott Smith - Angels
via FoxyTunes

sabato 10 novembre 2007

Poesia rubata.

Lo scoiattolo e il tarlo

Crunch lo scoiattolo

Vive nel cervello

Divora

I ricordi

Quelli radioattivi

Quelli che inquinano

La personalità

Il carattere

E trasformano

La tranquillità

In rabbia cattiva

Nociva.

Crunch permette la vita

Sottotono

Pseudovita

Permette

Che si dimentichi

Sgranocchiando

Legnate

Insulti

Suture.

Il tarlo

È il vicino di casa

Vive nel cuore

Che non scorda

Che vede le ferite

E sanguina

Incosciente.

Il tarlo ricorda

E di notte

Bussa forte

Dolore al petto

Balzi dal letto

Sudore di ghiaccio

E occhi sbarrati

Il tarlo avverte

Che è tutto lì

Ad aspettare

Ad attendere il risveglio

Della mente

Illusa.

Poesia rubata dalla mente di Luisella...

venerdì 9 novembre 2007

A Little Bit of This, a Little Bit of That...

I was a King Sono stato un Re

My crown far too heavy, La mia corona fin troppo pesante,

Far too small… Fin troppo piccola...

I was the Landlord Sono stato un proprietario terriero

My duties far too boring, I miei impegni fin troppo noiosi,

Far too hard… Fin troppo duri...

I was the Jester Sono stato un Giullare

My life far too full, La mia vita fin troppo piena,

Far too frail… Fin troppo fragile...

I was the Immigrate Sono stato un Immigrato

My days far too long, I miei giorni fin troppo lunghi,

Far too senseless… Fin troppo senza senso...

Invented myself Mi sono reinventato

One million times Un milione di volte

I twist again. Cambio di nuovo.

I will be the stranger Sarò l'estraneo

Who smiles you from afar Che ti sorride da lontano

In this endless crowd, In questa folla infinita,

Look for me, Cercami,

I will be there! Io ci sarò!



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Listening to: Red Hot Chili Peppers - Greatest Hits - 02 - Give It Away
via FoxyTunes

martedì 6 novembre 2007

Ricordi?

Cerco i miei occhi!

Li cerco la mattina,

Come Primavera faceva

Prima di me!

E ritrovo in me

La sua dolcezza,

Le sue caravelle,

Gli spicchi di mela

Lanciati sul divano

Nel vano tentativo

Di superare le fameliche colonne d’Ercole

Che ne terminavano traiettoria ed esistenza...



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Listening to: Supertramp - The Logical Song
via FoxyTunes

domenica 4 novembre 2007

Efelidi

Non mi assomiglia più...

Mi guarda, compassionevole,

I suoi occhi non sono cambiati,

Eppure

Non mi somiglia più...

Divani, sedie, letti,

Veloci corse dietro un sole

All'apparenza morente,

Risate, pianti, feste e lutti,

Sempre è stato presente

Eppure

Non mi somiglia più...

E il tempo che gli ho dedicato,

Passato tra braccia estranee,

Baciando visi cancellati dal tempo

E dalla noia,

Non me lo concede più

Addio amico mio,

Ti trovo raramente oramai,

Non ti riconosco più!

sabato 3 novembre 2007

Per Noi.

Per Noi

Quattro mani sventolate da una terrazza

Quattro mani dentro un’auto

Lacrime dolci

Otto mani che corrono verso il loro futuro

Otto occhi

Incantati

Quattro aliti e un filo…

Scritta ieri sull'onda di un arrivederci...

venerdì 19 ottobre 2007

Speranze.

Salve.
Come annunciato su Big Salumeria! oggi apre questo blog, con il proposito di dare spazio a scritti inediti di noi tutti e con la speranza che ci si confronti su tutto.
Facciamoci un "inboccaallupo!".